Beni culturali in Alto Adige

Rete Civica dell’Alto Adige - Il portale della Pubblica Amministrazione

to be continued_2

Installazione partecipativa composta da 40 diverse cartoline con opere fotografiche dell'artista, un cosiddetto "post-office" (casetta in legno con tetto in plexiglas) ed un espositore per cartoline con 72 scompartimenti.

Come dice il titolo, "to be continued_2" è la seconda tappa di un progetto dell'artista nato nel 2000.
Nel periodo da settembre 2015 a giugno 2016, oltre a Museion, sei luoghi dell'arte e della cultura in Alto Adige (Merano arte; ES gallery Merano; Kunstraum Café Mitterhofer, San Candido; Galleria Lungomare, Bolzano; Ripartizione cultura tedesca, Bolzano; Galerie Prisma SKB Bolzano) ospitarono il progetto dell'artista.
Ogni mese i visitatori e visitatrici trovavano quattro cartoline diverse, in edizione limitata, da portare via gratuitamente. L'idea è che le immagini, abbandonate al loro destino, lascino le pareti di musei e gallerie per entrare nella vita quotidiana dei visitatori e visitatrici – come cartoline, ma anche segnalibro, pin per frigorifero, per un biglietto da scrivere al volo, o chi lo sa.
La prima serie di cartoline "to be continued" si concentrava sulle immagini di un'unica città come New York. In "to be continued_2" l'artista presenta invece scatti nati spesso in zone clandestine nei suoi viaggi in tutto il mondo – da Firenze a Berlino, da Chicago ad Assuan, in Egitto fino a Mumbay, in India. Con le sue immagini, Gasser ha unito diversi punti di vista su paesaggi, spazi, città, paesi e abitanti. Ogni scatto porta la traccia del suo sguardo sulle cose, del suo modo di percepirle. Motivi, angolazioni e registri narrativi molto diversi tra loro, uniti in filigrana da uno stesso peso poetico, che li contiene tutti.

Denominazione oggetto:
installazione
Numero d'inventario:
FCR35
Autore:
Gasser, Werner
Collezione:
Collezione Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano
Data:
2015 - 2016
Materiale:
legno, vetro acrilico, metallo, cartoncino
Tecnica:
montato, stampato
Istituzione:
Fondazione MUSEION. Museo d'arte moderna e contemporanea Bolzano
Dimensioni:
misure variabili
Note storico-critiche:
"WERNER GASSER
TO BE CONTINUED_2

Ho visto per la prima volta l'edizione di cartoline to be continued di Werner Gasser subito dopo la loro pubblicazione nel 2000. Ho cominciato a guardare una ad una le 15 cartoline, più e più volte, in sequenza dalla prima all'ultima, e stese tutte insieme davanti a me come un grande dipinto. Ero incantato. In seguito la mia opinione riguardo a molte questioni inerenti la fotografia era mutata.
Il primo incontro ebbe l'effetto di un provocante enigma. Saltava all'occhio l'assenza delle fotografie di New York con le classiche linee verticali. A prima vista, sembrava la raccolta di immagini di un esploratore urbano sprovvisto di cartina, che si concede il piacere di perdersi. Uno che, come il sonnambulo di Paul Valéry, si muove al di fuori dei percorsi turistici di massa in balia di un piacere dello sguardo che non necessita di alcuna giustificazione. Vi erano contenuti sia gli “snapshot” spontanei – che normalmente in fotografia sono una garanzia di autenticità – sia la precisa struttura compositiva di eventi percettivi. Il paradosso del fotografo che, volendo catturare ciò che in assoluto è più evidente e intangibile, è consapevole del fatto che la spontaneità può facilmente apparire “artificiosa”: i lavori di Werner Gasser contengono entrambi gli elementi, contrapposti e costitutivi allo stesso tempo.
La bellezza di queste fotografie era indiscutibile, ma si trattava di una bellezza che non si manifestava immediatamente e mi parve dubbio se il concetto di “bellezza” fosse quello giusto. Nelle immagini si esprimeva un essere al mondo poetico, l'atteggiamento lirico di Haiku che trattano di momenti della vita intrecciati tra loro in profondità, uno sorpreso della presenza dell'altro. Solo poche fotografie permettono di identificarne il luogo, essendo stati eliminati o soppressi tutti gli elementi che definiscono lo spazio. Avevo l'impressione di seguire un escursionista urbano da un luogo qualunque a un altro. Anche la scelta di quale immagine si sarebbe rivelata al fotografo in preda al suo abbandono alla visione, come la più importante, la più ovvia, la più lontana oppure irraggiungibile, sembrava essere trasferita in una itineranza fluttuante.
Che cosa preleva Werner Gasser durante i suoi viaggi? Immagini che hanno una storia a lui ignota. Immagini la cui sola certezza consiste nel fatto che “qualcosa” – ma che cosa esattamente? – è successo in quello scenario. Fotografa un dosatore di sapone in un bagno pubblico a downtown, una tenda da doccia consunta nel Chelsea Hostel, la parete variopinta in un ritrovo per senza tetto, una coppia di sposi coreani tirati a lustro sul ponte di Brooklyn, meduse fosforescenti nell'acquario di New York e una ripresa ravvicinata di un arrosto alle cipolle dall'aspetto poco invitante.
Con poche eccezioni, alle immagini mancava ogni drammaticità, ogni forma di accentuazione o di contrastante esasperazione. In effetti, si presentano come un torso al quale mancano alcune parti. La ben collaudata gerarchia dello sguardo, nel distinguere tra ciò che è importante e ciò che è irrilevante, era disattivata. Citando Sigmund Freud, lo potremmo definire uno stato di attenzione fluttuante, ovvero: nulla è irrilevante.
La presenza del fotografo era percepibile in maniera quasi fisica. Ci portava con sé per le strade, al museo, ma anche sotto la doccia o a pranzo, visitava spazi aperti e chiusi e trasferiva queste esperienze sulle immagini. In modo discreto ma al contempo radicalmente personale si dimostra un viaggiatore dotato di tutti i sensi, che non celebra la liberazione dalla vita quotidiana, ma il piacere della quotidianità. Il processo di traduzione dal vissuto alla narrazione da un lato, e la trasformazione del mondo ignoto in un mondo personale dall'altro, rendono le immagini comprensibili come particelle di un modo di vivere.
Avevo l'impressione che le immagini si rifacessero al più semplice dei modelli: l'atteggiamento di un narratore che vuole ricordare – avvenimenti, storie, persone e luoghi di una città, collegati tra loro solamente dal suo sguardo, i quali solo retrospettivamente potrebbero forse congiungersi formando una storia. Dalla moltitudine di immagini Werner Gasser – con una complessa poetica della memoria, nella quale anche l'oblio agisce come una forza che preserva il ricordo – ha operato una selezione che da un lato conserva “di meno”, ma dall'altro salva “di più”. Dove il “meno” consiste nell'atto di scegliere e di evocare solo singoli elementi del ricordo, mentre il “più” è l'aggiunta all'oggetto dell'evocazione di qualcosa che non esisteva al momento della sua formazione: una storia, una narrazione, un nesso, una forma.
L'elemento narrativo era già implicito nel titolo della serie: to be continued mette in gioco una dimensione temporale aperta, la cui conclusione è rinviata ad un futuro indefinito. Ciò significa che il progetto diviene ciò che realmente è solo al termine. Lo schema di ricerca resta sempre e comunque un continuo rinvio.
Ed ecco, 15 anni dopo, la seconda parte di to be continued che ha in serbo una sorpresa. Mentre guardiamo si ripresentano, senza averle evocate, le immagini della prima serie, come se fossero state disattivate, sovrascritte, come se fossero rimaste nella memoria “coperte” da più strati di altre immagini, affermando però la propria presenza come nel primo istante. La “memoire involontaire” sembra essersi insinuata nella logica concettuale – di non voler giungere a una fine e di non voler mai uscire dalla mente – del progetto fotografico di Werner Gasser.
Che cosa è rimasto, cosa è cambiato? È rimasta innanzitutto la forma dell'edizione di cartoline, che nell'era della divulgazione digitale sviluppa una sua propria forza poetica. Il medium cartolina postale, minacciato di estinzione, non rispecchia un momento nostalgico, ma svela la vocazione fondamentale del progetto fotografico di Werner Gasser: il dono. Le cartoline stesse sono viaggiatrici, viaggiano su percorsi non pianificati e incontrollabili, si congiungono ad altre vite, sono più permeabili di una sala espositiva, sono state generate da impronte e lasciano a loro volta delle impronte.
La loro caratteristica principale è il concetto di cartolina come dono. Un dono che non richiede qualcosa in cambio, che si trova al di fuori dello scambio commerciale, che è – usando le parole dell'etnologo francese Marcel Mauss – “forse l'impossibile”. Stampare le fotografie sotto forma di cartolina pone una domanda: quale spazio è rimasto al dono in una società profondamente dominata dall'economia? La cartolina postale si rivolge a tutti e a nessuno, è imprevedibile, entra svolazzando come un segno proveniente da un altro mondo. Vedere il mondo attraverso una cartolina significa anche vedere il mondo attraverso gli occhi di molti altri.
La nuova serie raccoglie 40 scatti prodotti negli ultimi sei anni. Non sono più stampati a formato pieno, ma in formato Polaroid, con molta aria intorno. Già questa caratteristica in sé produce un effetto più epico che drammatico. Nuovamente traggono la loro energia visiva dalle profondità dell'essere in viaggio, ma questa volta i cerchi sono più ampi. Le mete sono Berlino, Chicago, Firenze, Mumbai e Assuan durante i giorni del rovesciamento del regime nel febbraio 2011, ma anche l'Alpe di Fanes nel cuore delle Dolomiti. I titoli delle immagini sono totalmente assenti; si deve dedurre o intuire dal materiale visivo che cosa rappresentino le fotografie.
Che stia viaggiando in città, in montagna o nel deserto, è sempre ciò che è marginale a catturare la sua attenzione. A Chicago è un'impalcatura ricoperta di teli stracciati, a Mumbai è un gruppo di reclute che si atteggiano per il fotografo in una posa sorprendentemente tenera, a Berlino è il museo del circo, sono gli appartamenti di amici ed è la propria casa dall'atmosfera rurale. Ripetutamente vediamo delle variazioni di motivi floreali e vegetali. Fiori nel vaso, ricamati su tovaglie, fiori su cartoline, ma anche piante da vaso e alberi a Grunewald. Gioca chiaramente con il genere classico della natura morta di fiori, senza però rivelare ciò che rende singolari, unici e irripetibili gli oggetti raffigurati.
Spesso il tema è il topos della bella vita pensata al plurale. Bambini che giocano sulla spiaggia di Usedom, girini in uno scolapasta, una torta di compleanno, la perfetta composizione cromatica di un tavolino da salotto, un'escursione nelle Dolomiti, una stanza d'albergo col televisore acceso a Mumbai – quasi ovunque traspare la magia dell'attimo intimamente personale e appagante. Accanto troviamo dei momenti pubblici, come gli Uffizi di Firenze, dove Werner Gasser fotografa un'orda di turisti giapponesi mentre guardano la Venere – e la Venere ricambia lo sguardo. Paragonata alla prima serie, to be contiued 2 accentua in maniera nettamente più forte la sfumatura. La sola molteplicità delle variazioni, per esempio dei motivi floreali, non trascrive null'altro che l'individuale, non desiderano altro che quel certo non so che con uno spiccato senso per le mezzetinte e i toni intermedi, per le atmosfere e le tensioni spinose. Se fraintese, queste sfumature si potrebbero interpretare come gusto impressionista per il dettaglio, ma sono concettualizzate come un approfondimento dello stile. In esse ha agito l'arte della sprezzatura, quella disinvoltura che fa sì che l'arte non dimostri il suo essere arte.
Le inquadrature dalla composizione estrosa possono però anche trasformarsi improvvisamente in necessità. L'immagine che personalmente preferisco è uno scatto ripreso presso la diga di Assuan all'epoca dei disordini politici in Egitto. La foto è stata scattata da un autobus in corsa e non è altro che l'istantanea di un cantiere. Il mondo fuori dal finestrino è ridotto a un minimo al limite del percettibile, e l'immagine suggestiva d'atmosfera ne trae maggiore vantaggio. La tensione tra forma e non-forma, tra oggetto riconoscibile e dissoluzione nell'astrazione dimostrano che il fotografo vede le potenzialità dell'immagine proprio nello svanire del reale. Si distacca dal suo oggetto per divenire essa stessa l'evento. L'impressione di uno scatto fallito, quasi “abbagliata” dalla sovraesposizione, è contrastata dalla disposizione delle linee e delle superfici di colore composta con precisione, dove nulla è lasciato al caso: tre assi verticali dividono l'immagine in tre superfici separate. Sulla destra vediamo una tenda azzurra dalla plasticità quasi scultorea, il motivo principale è una strada sfocata percorsa da un camion, la superficie sinistra si dissolve in un bianco sfavillante.
Per essere la foto di un evento politico manca il contesto narrativo, ma è proprio in questo non-poter-vedere che si insinua lo sguardo dalla finestra del viaggiatore globale sul mondo. Sembra la fotografia maldestra di un dilettante che ha perso il controllo dello strumento di ripresa nel bel mezzo degli avvenimenti. La fotografia non mostra una storia, ma apre spazi visivi sul conto dei quali si possono raccontare storie. Non parla. Ma induce a parlare."
(Heinrich Schwazer)

 

Oggetti selezionati

Nessun oggetto selezionato...