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Le buone pratiche e le criticità da cui imparare

Con Nuove Culture

 

Nella seconda parte della mattinata, Alessandro Bollo e Alessandra Gariboldi hanno presentato una serie di progetti esemplificativi di buone pratiche realizzate nella ridefinizione di prodotti culturali in grado di coinvolgere i nuovi cittadini.

Tra questi, Alessandro Bollo ha illustrato il progetto “Migranti e patrimonio culturale”.  Si tratta di un progetto interistituzionale voluto, finanziato e promosso dalla Regione Piemonte, che ne ha affidato la realizzazione a tre organismi territoriali, il Centro Piemontese Studi Africani,  Mondo Minore e Holden Art, realtà legata alla Scuola Holden. E’ possibile visualizzare una parte dei contenuti online nel sito Patrimonio Intercultura e la ricerca è contenuta nel volume curato dall’antropologa Anna Maria Pecci  “Patrimoni in migrazione”, edito da Franco Angeli.

In questa esperienza sono stati  coinvolti tre musei torinesi,  in cui è avvenuta la sperimentazione ed inoltre  ci sono state collaborazioni con le università e altri musei satellite. I destinatari erano i mediatori e i referenti dei musei (è stata fatta una specifica formazione) e poi il pubblico italiano e straniero. Il perimetro di azione principale era l’Africa in senso continentale, con l’ampiezza e i limiti che si possono immaginare comprendendo mondi molto diversi. Diviso in quattro fasi, il progetto è durato quasi due anni.

Il primo punto sono state l’analisi documentale e l’analisi del contesto, per cui si è eseguita una mappatura delle associazioni africane presenti sul territorio. E’ stata poi effettuata un’analisi dei bisogni, delle aspettative e della percezione dell’offerta culturale museale dal punto di vista degli stranieri.

La ricerca, curata da Fitzcarraldo, di tipo qualitativo, si è svolta su 15 gruppi familiari, il più possibile rappresentativi delle diverse realtà africane presenti a Torino. Questo è stato il primo scoglio: parlare di Corno d’Africa è totalmente diverso da parlare di Maghreb o di Costa d’Avorio.

Il tipo di approccio metodologico proposto prevedeva di intervistare le persone nella loro casa, per evitare una realtà troppo asettica, che non avrebbe stimolato il parlare liberamente.

La famiglia come unità di analisi consente di affrontare temi, che riguardano il quotidiano (utilizzo del tempo libero, pratiche culturali, ecc.) e permette diverse possibilità di confronto intergenerazionale e intergenere. Si voleva capire dagli intervistati quali fossero i fattori individuali che ostacolavano la fruizione culturale, quale fosse la loro idea del tempo libero e quale  la loro percezione del nostro patrimonio culturale.

Quanto emerso ha comportato il cambiamento di alcune coordinate del progetto.

Una prima riflessione significativa è stata sul tempo libero, visto come molto limitato, molto interstiziale: la domenica, ad esempio, è vissuta  come il giorno in cui ci si può vestire con i propri abiti, cucinare i piatti della propria cucina. Rispetto ai consumi culturali, i bisogni del tempo libero si identificano in quelli di socialità, intesa anche come costruzione e consolidamento di legami e relazioni nell’ambito della propria comunità e di festa. Unica pratica culturale autoriferita è la lettura.

Il museo è considerato un luogo di apprendimento, dai giovani è percepito come un prolungamento, una “protesi” della scuola.

 Al museo si connettono tre azioni: conservare, trasmettere, raccontare. L’elemento della trasmissione orale, della produzione di storie spiccava nelle interviste in maniera particolare. Quanto alla frequentazione  dei musei, è emerso che spesso non sono visitati per un interesse verso i loro contenuti, ma come luoghi di presentazione della città a chi arriva dal proprio Paese, inoltre andare al museo con la famiglia può essere un problema economico e si è rilevata scarsa comunicazione sul fatto che a Torino il giovedì i musei sono gratuiti (la gente non lo sapeva).

E’ stato riscontrato il bisogno di essere accompagnati, di non sentirsi da soli, di avere persone con cui condividere l’esperienza: la componente umana è fondante nella visita al museo.

Concettualmente museo e mostre risultano percepiti come due elementi distinti: il museo è un luogo polveroso dove si conservano gli oggetti; la mostra è qualcosa di più vicino e più abbordabile.

Il patrimonio culturale per gli stranieri intervistati non è solo costituito da oggetti tangibili (nell’area del Marocco la visione è molto simile alla nostra), per alcuni si tratta di qualcosa di totalmente immateriale,  per  altri è l’educazione trasmessa dai genitori e da trasmettere ai figli.

Nella progettazione interculturale è necessario considerare che il concetto di patrimonio culturale è un concetto polisemico, varia, infatti, a seconda della storia personale del soggetto e può rivestire più significati.

 

Alessandra Gariboldi ha illustrato l’esperienza relativa all’iniziativa “Oggetto di incontro”, che si è basata su una preliminare raccolta di informazioni. Nei musei si è organizzata una serie di visite guidate tematiche, dove ogni mediatore ha scelto un oggetto, ritenuto particolarmente significativo rispetto al proprio vissuto. Attraverso questo oggetto ha costruito una narrazione che collegasse la vita di prima e la vita qui, raccontando sostanzialmente se stesso, per cui l’oggetto è divenuto puro pretesto per lo story telling.

 

Alla fine del 2009 si è concluso l’ultimo Map for ID che ha visto tra i partner italiani 17 realizzazioni sul tema. Il progetto più vecchio, “Tappeto Volante”, è nato nel castello di Rivoli nel 1996 e non esiste nulla del genere in Italia: nelle sue declinazioni dura da tredici anni, utilizzando l’arte contemporanea.

Il progetto è sorto dall’intervento di alcuni insegnanti di una scuola primaria del quartiere torinese di San Salvario, frequentata per il 70% da bambini stranieri. Gli insegnanti hanno dovuto affrontare tre problemi: i bambini non erano tutti allo stesso livello linguistico, i genitori non comunicavano tra loro, gli insegnanti stessi non avevano gli strumenti per potersi relazionare. Nato dalla creatività dei singoli, il progetto si è sviluppato sulla produzione culturale, con interventi settimanali di mediatori, che, attraverso le potenzialità attivate dall’arte contemporanea e dalla creatività, hanno sviluppato soluzioni su singoli temi, ogni anno diversi. Nel tempo si è arrivati a coinvolgere centinaia di persone tra classi, insegnanti, associazioni, ecc.

 

Un altro esempio è l’iniziativa “Saperci fare” realizzata dal Museo Etnografico Pigorini di Roma, che fa  parte di una rete europea di musei etnografici e delle comunità della diaspora. Il Museo ha contattato quattro comunità della diaspora locali, costruendo una mostra in cui ognuna di esse ha potuto raccontare la propria cultura, partendo da temi accomunanti, quali la festa. Per ogni comunità si è costruita un’isola ed ogni isola era collegata ad un laboratorio di eventi fittissimo. Si è attinto anche dalle collezioni del museo, partendo dal vissuto delle comunità.   Il progetto è durato sei mesi, ma poi non ha avuto un seguito.

 

Un altro progetto che fa parte di Map for ID è stato realizzato a Modena ed ha coinvolto 60 adulti e adolescenti con incontri,  finalizzati a far conoscere il patrimonio del locale museo archeologico.

Le persone hanno scelto un oggetto per loro significativo, poi sono state accompagnate in un approfondimento di contestualizzazione. Coloro che avevano“adottato” il reperto ne divenivano portatori nella loro comunità, nonché soggetti garanti emotivamente. Si sono descritti il reperto e chi lo ha scelto,  fotografando la persona con l’oggetto. Il reperto poteva essere toccato e si poteva fare tutto quello che un conservatore normalmente teme. L’esperienza ha avuto forte riscontro anche nel ritorno dei cittadini stranieri al museo:  poiché quell’oggetto era diventato una parte di loro, lo usavano per raccontare sé stessi ed hanno realizzato anche un’agenda multiculturale con alcune festività dei loro Paesi. L’idea era  quella di superare lo stereotipo del migrante.

 

La Biblioteca Sala Borsa di Bologna, non ragionando sul patrimonio ma sui servizi,  ha avviato già nel 2004 un progetto di intercultura molto articolato, agendo in diverse fasi e declinando tutte le attività sul concetto di accessibilità. Dapprima la Biblioteca ha ampliato le collezioni librarie, poi le pubblicazioni periodiche, ha tradotto i propri materiali in molte lingue, ha creato anche la possibilità di usare internet utilizzando tastiere in alfabeti diversi; possiede una sezione immensa sull’apprendimento dell’italiano, ma anche delle lingue straniere, con personale competente sui testi stranieri. Ha realizzato una serie di attività, come letture in madrelingua e appuntamenti fissi per bambini i cui genitori  si preoccupano di mantenere la propria lingua d’origine. 

 

Il Museo del cinema di Torino (Map for Torino) ha coinvolto gli studenti stranieri attraverso il linguaggio filmico: si è insegnato loro quali sono i codici cinematografici e quindi  sono stati invitati e accompagnati a costruire delle storie, dei video reperibili anche online. Sono emerse situazioni che fanno riflettere, come ad esempio un episodio accaduto durante un incontro di alfabetizzazione al cinema muto: la scena di un bacio ha suscitato in due ragazze marocchine una reazione, che le ha condotte a non partecipare più.

 

Un caso interessante di mediazione effettuata da personale straniero nel contesto di collezioni museali  è quello della Galleria di arte moderna e contemporanea GAMEC di Bergamo. Si richiedeva alle persone coinvolte di scegliere all’interno del museo “qualcosa” che per loro fosse significativo rispetto alla città. Aspiranti mediatori provenienti da quaranta Paesi hanno studiato l’arte contemporanea, preparandosi per condurre visite in lingua madre; hanno sostenuto un esame per conseguire il patentino di mediatore artistico della GAMEC e sono stati infine premiati dal sindaco della città. Questi mediatori si sono sentiti degli ambasciatori ed attraverso di loro il museo è stato visitato nell’arco dell’anno da un nuovo pubblico di 1100 persone.

 

Alla pinacoteca Francesco Borgogna di Vercelli la scelta è stata quella di allargare la prospettiva sperimentando soprattutto su sé stessi, ad esempio organizzando visite tematiche con lo scopo di far conoscere la collezione e, utilizzando il metodo del confronto,  di rimuovere il pregiudizio.

Interessante in questo senso è stata la presentazione della mappa di Peters accostata a quella di Mercatore.  Peters negli anni ’70 ha ricostruito la mappa del mondo  basandosi sulle reali proporzioni tra le superfici dei Paesi e questo, di conseguenza, ha sconvolto la raffigurazione tradizionale:  l’Africa è immensamente più grande del Nord America, così come la Groenlandia è in realtà piccola. La comparazione ha suscitato reazioni forti soprattutto negli italiani, che  rifiutavano di accettarne la correttezza.

 

L’ultimo esempio citato è una mostra  in corso ai Musei Civici di Reggio Emilia, nell’ambito di Map for ID, “Mothers” vertente sul tema della maternità. Alcune artiste di differenti provenienze hanno lavorato insieme, interpretando il tema attraverso il proprio vissuto: un lavoro a più voci, nato attorno a pezzi della collezione a cui le artiste hanno aggiunto la propria visione.

Le opere entreranno a far parte della collezione permanente del museo; la mostra è aperta fino al prossimo 31 agosto.

 

Nei siti di Patrimonio Interculturale e di Map for ID si possono trovare altri spunti. E’ inoltre possibile, anzi consigliabile, segnalare le proprie iniziative per l’inserimento online.

 

In chiusura del Laboratorio si è sottolineato, con una serie di esempi, l’importanza di riflettere su “errori”, “incomprensioni”, “inciampi”: le criticità sono molto importanti per maturare un reale coinvolgimento dei nuovi cittadini nella elaborazione culturale del contesto di approdo; si è fatto riferimento pertanto ad  una carrellata sugli errori più comuni, quelli più interessanti per chi si occupa di progetti interculturali:

-          non prevedere tempi lunghi;

-          non dare continuità ai progetti;

-          non prevedere un’adeguata formazione interdisciplinare;

-          non conoscere a sufficienza il proprio interlocutore;

-          non avere un vocabolario comune con i propri interlocutori;

-          non coinvolgere sufficientemente soggetti esterni analizzando cosa vogliono e cosa potremmo fare insieme;

-          imporre ruoli e schemi rigidi;

-          non coinvolgere il personale (si è talora verificato che collaboratori abbiano remato contro, perché non  resi partecipi).

 

Nel dibattito che è seguito è stata presentata l’iniziativa volta all’integrazione interculturale, proposta dal Museo Archeologico dell’Alto Adige in occasione della Giornata internazionale dei Musei, il cui tema quest’anno era  “Musei per un’armonia sociale”.  In precedenza la sola collaborazione del museo in questo ambito era stata con  Donne Nissà per una mostra temporanea sui tatuaggi. Volendo aprire le porte del museo alla popolazione straniera, lo staff dell’Archeologico ha scelto di offrire visite guidate in varie lingue e si è rivolto all’associazione “Porte Aperte” per coinvolgere gli studenti stranieri e arrivare così anche alle loro famiglie. Si sono individuate quattro aree linguistiche particolarmente presenti sul territorio: l’albanese, l’urdu e l’hindi, l’arabo, il bosniaco e serbocroato. Per ogni lingua sono stati scelti due-tre ragazzi sia stranieri, che locali di lingua italiana e tedesca e si è fatto ricorso all’idea di associare un oggetto personale, possibilmente legato alla loro zona d’origine, ad un oggetto del museo.

L’area linguistica per cui il progetto ha funzionato meglio è stata quella urdu e hindi, con un centinaio di partecipanti, al contrario si sono presentate  poche persone di lingua araba, nonostante la comunicazione e la promozione fossero state effettuate in maniera omogenea.

Per quanto riguarda i ragazzi stranieri coinvolti, questa è stata un’occasione di confronto con la propria lingua madre e si è notato un cambiamento nel loro atteggiamento e nel loro approccio verso la storia e la popolazione locale. Il Museo Archeologico vorrebbe dare continuità al progetto, proseguendo nel tempo e organizzando visite in lingue straniere con cadenza probabilmente trimestrale.

In merito alla differenza di partecipazione degli stranieri, il sociologo Adel Jabbar ha ipotizzato che nel caso della comunità araba si tratti di una questione sia di coesione della comunità, che di autorevolezza del mediatore. Ha ricordato, inoltre, che oggi le comunità straniere producono anche una propria offerta culturale, spesso in spazi molto diversi da quelli che ci sono abituali e che questo fenomeno deve essere considerato con attenzione.

Alessandra Gariboldi ha sottolineato in chiusura l’importanza, in generale, ma ancor più nelle iniziative rivolte ai migranti, del “passaparola” e del raggiungimento di persone la cui autorevolezza è riconosciuta all’interno della comunità. Importante è, inoltre, conoscere i tempi e i luoghi di ritrovo, diversi per ogni comunità e per ogni città.